•  

     

     

     

     

    LA COMUNICAZIONE ALL’ “INTERNO” DI NOI STESSI 

    Il modo in cui lo spirito è unito al corpo non può essere compreso dall’uomo, e tuttavia in questa unione consiste l’uomo (Agostino d’Ippona)

    Di solito, quando parliamo di comunicazione ci riferiamo alla comunicazione tra il sé e il sé, tra il sé e gli altri e tra il sé e il mondo, ovvero a livelli interdipendenti che si influenzano reciprocamente.

    Anche parlando di comunicazione tra il sé e il sé, cioè all’interno di noi stessi, troviamo diversi livelli in cui questa avviene e sempre in modo interdipendente, dove l’uno condiziona gli altri:

    1. a livello del pensiero consapevole (quando pensiamo siamo consapevoli dei nostri ragionamenti, ad esempio quando cerchiamo soluzioni a dei problemi.
    2. a un livello emotivo, meno consapevole, (ad esempio, quando ci sentiamo ansiosi o nervosi e ci diciamo che per calmarci abbiamo bisogno di mangiare qualcosa di appagante per consolarci).
    3. a livello fisiologico, del tutto inconsapevole, (nel senso che ignoriamo tutto ciò che avviene “chimicamente” all’interno del nostro corpo).

    Sapere che i diversi tipi di comunicazione che avvengono all’ interno di noi stessi hanno influenze reciproche tra loro è molto importante per poter trarre il meglio da questi condizionamenti, ovvero per imparare a rendere la nostra comunicazione (consapevole e inconsapevole) con noi stessi, il più efficace possibile.

    Sempre più spesso, infatti, emerge dal lavoro con i miei pazienti che, parallelamente ai disturbi psicologici per i quali si rivolgono a me, soffrono anche di disturbi fisici, condizioni comunemente conosciute con il termine di disturbi psicosomatici. I disturbi psicosomatici sono caratterizzati dalla presenza contemporanea di  sintomi sia fisici che mentali, in cui i primi vengono aggravati dalla presenza dei secondi e viceversa. Si tratta quindi di una condizione in cui mente e corpo risultano connessi. Tale condizione può anche non essere correlata, ma la presenza di una condizione viene complicata dalla presenza dell’altra.

    Questo aspetto a volte è uno dei motivi che spinge le persone a chiedere un aiuto psicologico, in quanto risulta loro evidente il coinvolgimento dell’aspetto psicologico nella generazione o nell’aggravamento dei disturbi fisici. A volte invece, la presenza di disturbi fisici viene percepita come “scollegata” da fattori psicologici per i quali una persona sta chiedendo aiuto, come se fossero aspetti senza alcuna influenza reciproca. Questo “scollegamento” deriva dalla nostra cultura occidentale, in base alla quale siamo abituati a pensare il corpo separatamente dalla mente (concezione dualistica attribuita a Cartesio ma, in realtà, era presente ancor prima nell’antica Grecia). Tale concezione dualistica ha portato alla creazione di specializzazioni mediche che si occupano prevalentemente di organi ben precisi e in modo separato dal resto dell’organismo, dove ogni specialista si interessa alla propria competenza, trascurando non solo il resto, ma soprattutto le connessioni e le influenze reciproche esistenti tra tutte le parti dell’organismo, cervello (e mente) incluso. Benché ormai da tanti anni si è cominciato a dimostrare la connessione circolare tra corpo e mente, in cui le parti si condizionando reciprocamente, ancora sembra prevalere l’attenzione alle varie parti dell’organismo in modo separato e a considerare il legame tra di loro in base a una relazione lineare di causa-effetto.

    Un esempio può aiutarci a capire meglio come funziona la comunicazione bidirezionale tra la parte mentale e quella fisica. Immaginiamo una persona, risvegliata all’improvviso nel pieno della notte da un attacco di panico. In seguito a questo episodio, manifesta sempre più spesso altri risvegli notturni che, seppur senza più attacco di panico, sono causa di forte agitazione per la paura di poter rivivere quel primo terribile episodio. La persona in questione, rivolgendosi a un terapeuta, chiede aiuto per capire che le sta succedendo e per superare la spiacevole e spaventosa sensazione di poter riavere gli attacco di panico. Andando a indagare su cosa avviene esattamente durante i risvegli notturni, nella sua descrizione emerge una sintomatologia da reflusso gastroesofageo. La malattia da reflusso gastroesofageo si verifica quando i succhi gastrici vengono in contatto con la parete dell’esofago e può presentarsi sia con i suoi sintomi tipici, quali bruciore dietro al petto e rigurgito acido in bocca, sia con dei sintomi “atipici”, come la sensazione di nodo alla gola, difficoltà alla deglutizione, difficoltà digestive, nausea, tosse, asma, dolore toracico, simile a quello di natura cardiaca, insonnia, ecc. Alcuni di questi sintomi possono essere confusi tra le due patologie (adp e reflusso) e possono essere reciprocamente l’uno la causa dell’altro. Entrambi gli aspetti, quello fisico e quello mentale, interagiscono tra loro in modo circolare, dove l’uno è contemporaneamente causa ed effetto dell’altro. Potrebbe essere che i sintomi del reflusso inneschino la paura la quale, a sua volta, attiva il corpo producendo aumento battito cardiaco, respirazione affannosa, senso di costrizione alla gola, ecc. tutti i sintomi tipici dell’ansia. Tali sintomi corporei retroagiscono sulla mente amplificando la paura che a sua volta aumenterà l’attivazione dell’ansia, alimentando un circolo vizioso che può portare a un vero e proprio attacco di panico.

    Al di là del quesito “da dove nasce il problema?”, si può intervenire per interrompere il circolo vizioso che spesso si viene a creare tra questa interazione circolare mente-corpo, ma ciò è possibile solo partendo dal presupposto che “l’anima e il corpo sono una sola e unica cosa (B. Spinoza).

    Giovanna Rosciglione