• COME CAMBIARE LE ABITUDINI. Il “paradosso plastico” e la resistenza al cambiamento.


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    “Proprio come la mano davanti all’occhio può nascondere la montagna più alta, così le abitudini della vita di tutti i giorni possono impedirci di cogliere lo splendore e le segrete meraviglie di cui è pieno il mondo” (detto chassidico, XVIII secolo).

    Sono sempre più numerose le dimostrazioni dei benefici del miglioramento dello stile di vita, che altro non è che l’insieme delle nostre abitudini. L’assunzione di un’alimentazione più sana, l’inserimento di un’adeguata attività fisica, l’incremento della qualità del sonno, l’attenzione a coltivare relazioni interpersonali gratificanti, sono solo alcuni esempi di quanto le nostre migliori intenzioni, da sole, non bastino a produrre i cambiamenti desiderati.
    Molte persone che si rivolgono a un terapeuta per avere un aiuto in un cambiamento di qualche aspetto della loro vita, ad esempio per lo stato di salute compromesso o per delle relazioni disfunzionali, sanno già che cosa fa loro male e che cosa dovrebbero fare per stare meglio. Chi fuma sa che non dovrebbe perché è un comportamento dannoso, ma non riesce a smettere; chi vuole dimagrire sa cosa dovrebbe evitare di mangiare e che dovrebbe fare attività fisica, ma non ci riesce; o chi soffre per una relazione dolorosa, magari non riesce a chiuderla. La maggior parte delle persone subisce le proprie abitudini e, il più delle volte, ne è condizionata. Il mio lavoro mi rende quotidianamente testimone di una delle difficoltà principali per l’individuo: cambiare le proprie abitudini disfunzionali.
    Le abitudini possono essere un’ottima opportunità di crescita per ognuno di noi, a patto di saperle costruire e gestire adeguatamente.

    Ma che cosa ci rende così difficile cambiare le nostre abitudini, pur sapendo cosa ci fa male o cosa ci farebbe stare meglio?

    Un’abitudine è la tendenza a ripetere in modo automatico e senza sforzo volontario comportamenti, azioni, pensieri o reazioni emotive per effetto di esperienze apprese precedentemente. Per costruire un’abitudine dobbiamo ripetere quel comportamento tante volte. Ma le abitudini possono essere sia funzionali che disfunzionali, cioè possono arricchirci e farci crescere oppure possono bloccarci in uno stallo che ci impedisce di evolvere. Costituiscono, quindi, un’arma a doppio taglio che dovremmo imparare a gestire poiché, nel bene o nel male, sono le abitudini che acquisiamo a delineare il nostro stile di vita.
    Il vantaggio del creare un’abitudine è che ci fa risparmiare energia e il nostro cervello è costantemente alla ricerca di modi per risparmiare energia. Le abitudini ci permettono di semplificarci la vita e di compiere meno fatica nelle azioni quotidiane, perché si attivano in automatico, senza rendere necessaria la loro pianificazione. Questo meccanismo può rivelarsi però anche svantaggioso, perché se ripetiamo costantemente e a lungo dei comportamenti disadattivi, questi ci danneggiano.

    Da un punto di vista neuronale, una proprietà fondamentale del nostro cervello è la neuroplasticità (neuro: neuroni, plastico: modificabile, flessibile), ovvero la capacità che ha il cervello umano di modificare se stesso. Può modificare la propria struttura a livello di ciascuna funzionalità specifica, può perfezionare i propri circuiti adattandoli ai compiti da svolgere e se alcune parti di esso subiscono un danno in determinate circostanze (ad esempio, dopo un ictus), possono essere “riparate” o sostituite da altre. Grazie a questa stupefacente caratteristica, abbiamo la possibilità di rigenerare nuove connessioni neuronali, processo che può avvenire durante l’intero arco della nostra vita. Queste sono le scoperte della “rivoluzione neuroplastica”, che sta emergendo con sempre maggiori evidenze scientifiche nel corso degli ultimi anni. C’è un “però” da tenere in considerazione. In questo meccanismo esiste un paradosso, chiamato appunto “paradosso plastico”: le proprietà neuroplastiche che ci permettono di modificare il cervello e di produrre comportamenti più flessibili e funzionali sono le stesse che ci conducono a mettere in atto comportamenti rigidi e disfunzionali. La neuroplasticità può portare sia all’elasticità sia alla rigidità mentale!

    Lo sviluppo di un’abitudine fa parte di una costruzione flessibile in cui gioca un ruolo importante il “circuito cerebrale della ricompensa”, il meccanismo di rinforzo di un dato comportamento verso la sua ripetizione. Il circuito della ricompensa agisce attraverso la dopamina, rilasciata ogni qual volta proviamo gratificazione, sia di tipo fisico che di tipo psicologico. I neuroni dopaminergici codificano il valore atteso di un comportamento, quindi maggiore è l’aspettativa rispetto a un dato comportamento, più velocemente i neuroni scaricano. Motivo per cui è così difficile inibire un comportamento abitudinario una volta che è stato innescato.
    Per sviluppare un percorso nuovo è necessario bloccare quello già in uso e aumentare il ventaglio di abitudini piacevoli e funzionali che si possono sviluppare per raccogliere le ricompense. Detto in altri termini, le nostre cattive abitudini non sono una parte strutturale del nostro cervello, ma sono dei programmi che abbiamo ripetutamente messo in atto nel tempo. Quindi, con la pratica, possiamo sviluppare nuove abitudini più funzionali. Ampliando la varietà di comportamenti piacevoli, possiamo diventare più capaci di rompere le abitudini negative: le abitudini automatiche vengono inibite in favore dell’acquisizione di nuovi comportamenti. E’ possibile riorganizzare le connessioni cerebrali per ampliare la gamma delle attività che danno un senso di soddisfazione e di piacere, sperimentando nuove attività. Più si fa pratica di queste nuove attività, più sarà facile rompere la cattiva abitudine di trarre piacere esclusivamente da un singolo comportamento. Quando i nuovi comportamenti diventeranno parte dei circuiti della ricompensa, diventerà più facile metterli in atto e saranno attivati più frequentemente dei comportamenti disfunzionali.
    Essendo la neurochimica delle abitudini dinamica, la riorganizzazione delle connessioni neuronali cerebrali necessaria per trasformare in positive le abitudini negative, può portare a sperimentare una fase transitoria, in cui ci si sente peggio prima di arrivare a percepire un miglioramento. Tale fase è però necessaria per consolidare il cambiamento. Questo significa che per abituarsi a un nuovo comportamento funzionale, occorre metterlo in atto anche quando non ci viene spontaneo finché, attraverso la sua costante ripetizione, finirà per piacerci.

    A livello psicoterapeutico, gran parte del lavoro avviene sulle abitudini. Dal punto di vista dell’approccio strategico, l’obiettivo principale è quello di rompere la rigidità di un sistema percettivo-reattivo, cioè la modalità ridondante di percepire le cose e di reagire di conseguenza. Tale modalità ridondante, infatti, è diventata un’abitudine strutturata e per essere modificata necessita di “esperienze emozionali correttive” che rompano lo schema, per poi costruire nuovi comportamenti. Un cambiamento terapeutico è la rottura di uno schema che si ripete nel tempo e che è diventato, quindi, un’abitudine strutturata. Una volta rotto uno schema, deve essere sostituito da un altro più funzionale di quello precedente. Ad ogni cambiamento però corrisponde una “resistenza”, per cui se vogliamo cambiare un’abitudine, avremo a che fare con la resistenza a cambiarla. Le abitudini hanno, infatti, un’omeostasi che è l’equilibrio che tende a mantenersi in un organismo. Per poter raggirare la resistenza e apportare un cambiamento, quindi, dobbiamo avere delle strategie mirate a rompere lo schema che vogliamo sostituire e, per poter inserirne uno nuovo, questo dovrà essere ripetuto un certo numero di volte, finché diventerà il nuovo “modello omeostatico”, ovvero la nostra nuova abitudine.

    Come fare, dunque, per modificare le nostre abitudini disfunzionali?

    Un modo utile potrebbe essere quello di “nutrire” il cervello attraverso il FEED:
    Focus: sviluppare la focalizzazione sul “qui ed ora”, attività necessaria per l’apprendimento di qualunque novità;
    Effort: impegnarsi nel fare qualcosa che non ci viene spontaneo (ma finché continuiamo a comportarci spontaneamente sempre nello stesso modo, otterremo sempre le stesse conseguenze);
    Effortlessness: si riferisce alla facilità che si verifica quando abbiamo sviluppato un nuovo comportamento;
    Determination: utilizzare la determinazione per praticare il nuovo comportamento perché, se non viene praticato, il cervello ne perde le connessioni.

    Uno strumento efficace utilizzato a questo scopo è la tecnica del “come se”, cioè comportarsi come ci si comprerebbe se il comportamento che vorremmo acquisire fosse già acquisito. Consiste nel mettere in atto concretamente un piccolo gesto in questa direzione, un piccolo sforzo tutti i giorni in modo tale che dopo un pò di tempo diventerà un comportamento acquisito e non se ne percepirà più lo sforzo, ma la spontaneità della sua azione.
    Infine, come per tutte le cose che dipendono da noi, dovremmo assumerci la responsabilità per ciò che vogliamo ottenere nella nostra vita. Come ci ricorda Paulo Coelho infatti, “si scorge sempre il cammino migliore da seguire, ma si sceglie di percorrere solo quello a cui si è abituati”.

    D.ssa Giovanna Rosciglione

    BIBLIOGRAFIA:

    – Nardone G., Salvini A., “Dizionario internazionale di psicoterapia”, 2013, Garzanti
    – Doidge N, “Il cervello infinito. Alle frontiere della neuroscienza: storie di persone che hanno cambiato il proprio cervello”, 2014,    Ponte alle Grazie
    – Arden, J., “Istruzioni per l’uso del cervello. Aiutare i pazienti a cambiare attraverso le neuroscienze”, 2017, Astrolabio
    – Nardone G, Watzlawick P., “Terapia Breve Strategica”, 1997, Raffaello Cortina Editore