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    “Afferra la stretta di qualcuno che ti aiuterà e poi utilizzala per aiutare qualcun altro” (B.T. Washington)

    In questi giorni si respira l’aria delle feste che si avvicinano. Questo fa emergere sensazioni di gioia o di tristezza. Le festività enfatizzano ciò che di base proviamo di solito. Per chi sta bene, sono una gioia che non si vede l’ora di vivere, per chi soffre invece sono una tortura. Sono numerose le persone che vivono male questo periodo e, in particolar modo, si tratta di persone sole, che non hanno nessuno con cui condividere alcunché, non solo le festività.

    Come si può aiutare qualcuno che soffre di una delle condizioni più difficili e dolorose che si possono provare nella vita? La solitudine, non quella scelta che eleva, ma quella subita che affossa e che fa sprofondare negli abissi più cupi dell’esistenza. La risposta può sembrare scontata ma di solito sono le cose più scontate a essere sottovalutate e, per questo, non considerate. Un buon antidoto per la solitudine è aiutare gli altri. Non è tanto per un fatto altruistico, anzi direi che si tratta di un “egoismo altruistico”: essere altruisti è un bisogno dell’essere umano; soddisfare i propri bisogni è un atto egoistico (ma non per questo sbagliato… anche mangiare e bere, tra gli altri bisogni, devono essere soddisfatti ai fini della sopravvivenza). Aiutare gli altri va a soddisfare un bisogno di chi mette in atto l’aiuto e attiva dei rilevanti benefici reciproci, sia per chi aiuta sia per chi viene aiutato. Possiamo pertanto chiamare questo processo “un sano egoismo che sfocia nel sano altruismo” (sì, perché esiste anche un altruismo insano, ma ne parleremo in un’altra occasione). Numerosi studi, per esempio, hanno approfondito il rapporto tra volontariato e salute e il principale risultato che emerge è che chi offre aiuto gode di una migliore salute fisica e mentale. Quando le persone fanno volontariato, non solo aiutano gli altri all’interno della loro comunità, ma negli anni successivi beneficiano di maggior salute: maggiore longevità, maggiore capacità funzionale, tassi inferiori di depressione, ecc…

    Come mai il volontariato fa sentire così bene? La ricerca ha dimostrato che due o tre ore di volontariato a settimana possono fornire maggiori benefici a condizione che l’attività scelta sia gratificante e che si abbia voglia di farlo anziché considerarlo un ulteriore impegno da svolgere. Anche se all’inizio può essere vissuto come una forzatura, poi cominciando a praticarlo si arriva a viverla come una scelta arricchente. Tra i principali effetti del volontariato sulla salute mentale infatti si può sperimentare riduzione dello stress, superamento della depressione, diminuzione del senso di isolamento, aumento della fiducia in se stessi e, se si esplorano ambiti inusuali, stimolazione di nuove passioni. In pratica, rende più felici. Se questo vale per ognuno di noi, assume una valenza ulteriore per chi è solo. Una persona sola di solito tende a isolarsi sempre di più, dando avvio ad un circolo vizioso alimentato da pensieri negativi e sentimenti di incapacità nel poter cambiare tale situazione, con conseguente aumento del proprio stato depressivo. Attraverso l’aiutare gli altri (persone, animali, ambiente, ecc.) invece si può interrompere questa spirale disfunzionale, generando al contrario, un circolo virtuoso in cui si possono scoprire tutti i benefici che reciprocamente si trasmettono. Aiutare gli altri per aiutare se stessi dunque, poichénon fare nulla per gli altri è la rovina di noi stessi (H. Mann).